10 dicembre 2006

Troppe complicità per chi ha tradito un paese di LUIS SEPULVEDA




Era notte a Puerto Natales, alloggiavo presso una famiglia che affittava le camere a turisti fuori dalla norma come me, quel soggiorno riscaldato da una stufa a legna era un'incrocio di genti d'ogni luogo, un ragazzo argentino parlava del suo paese e quando mi vide iniziò a parlare dell'Italia.
Disse che aveva origini italiane, chissà forse i nonni, i genitori, quelli veri che non aveva mai conosciuto, un'irregolare, strappato da mani assassine a genitori finiti nel Mar del Plata, questo avveniva negli anni settanta in uno degli angoli più belli del mondo, il Cono Sur, questo avveniva in Argentina e Cile.
Non ricordo il suo nome, ma ricordo la faccia della padrona di casa e di suo marito, ricordo le loro imprecazioni contro Pinochet e i suoi cugini argentini, ricordo la faccia stralunata degli altri ospiti, a me vennero in mente le parole di Primo Levi "questo è stato"

adesso alzo un calice, brindo anche a tuo nome.

Sarò cattivo, crudele, ma stavolta brindo alla morte di un uomo, se così può essere considerato un tiranno come Augusto Pinochet, brindo insieme a Luis Sepulveda, a Vittorio Gasmann, Pablo Neruda Victor Jara e a tutti coloro che sono state vittime della dittatura fascista.
Brindo perchè ho conosciuto in Cile persone che mi hanno raccontato cos'era la vita nelle lande sconfinate e fredde della Patagonia sotto la sua dittatura, oltre al freddo alla fame c'era la paura e la solitudine di un popolo in catene, brindo al suono di Salvador canzone dedicata dai Nomadi a Salvadro Allende, legittimo presidente del Cile, morto in difesa della democrazia e del popolo cileno

da www.repubblica.it

Troppe complicità per chi ha tradito un paese
di LUIS SEPULVEDA

Sono chiuso in casa da tre settimane per terminare un romanzo, senz'altra compagnia se non quella del mio cane Zarko e del mare, felice tra i miei personaggi, ma dalle prime ore di domenica, ho cominciato a ricevere delle telefonate dei miei amici e amiche del Cile.

"Prepara i calici", mi dicono dal mio lontano paese. Ho pronta una bottiglia di Dom Perignon in frigorifero. È un riserva speciale e me la regalò a questo fine il mio caro amico Vittorio Gassman una sera a Trieste. "Spero che la berremo insieme", mi disse in quell'occasione e sarà così, perché a casa mia c'è un calice che porta inciso il suo nome.

Alla radio, una voce dice che il tiranno sta davvero male e che, a quanto pare, stavolta la Parca se lo porterà all'inferno degli indegni, anche se noi cileni non ci fidiamo mai delle repentine malattie che lo colpiscono ogni volta che deve affrontare la giustizia.

Vorrei essere in Cile tra i miei cari e condividere con loro la spumeggiante allegria di sapere che finalmente finisce l'odiosa presenza del vile che ha mutilato le nostre vite, che ci ha riempito di assenze e di cicatrici. Pinochet non solo ha tradito il legittimo governo guidato da Salvador Allende, ha tradito un modello di paese e una tradizione democratica che era il nostro orgoglio, ma in più ha tradito anche i suoi stessi compagni d'armi negando che gli ordini di assassinare, torturare e far scomparire migliaia di cileni li dava lui personalmente, giorno dopo giorno. E come se non bastasse, ha tradito i suoi seguaci della destra cilena rubando a dismisura e arricchendosi insieme al suo mafioso clan familiare.

L'ex dittatore paraguayano, Alfredo Stroessner, è morto poco tempo fa nel suo esilio brasiliano, pazzo come un cavallo, dichiarando persone non gradite in Paraguay cento persone al giorno i cui nomi estraeva dall'elenco del telefono di Sau Paulo. Pinochet, invece, muore simulando una follia che gli permette fino all'ultimo minuto di fare assegni e transazioni internazionali per nascondere la fortuna che ha rubato ai cileni. Muore amministrando il suo bottino di guerra con la complicità di una giustizia cilena sospettosamente lenta.

Smette di respirare un'aria che non gli appartiene, di abitare in un paese che non merita, tra cittadini che per lui non provano altro che schifo e disprezzo. Ma muore, e questo è quello che importa. La sua immagine prepotente di "Capitán General Benemérito", titolo di ridicola magniloquenza che si autoconcesse, svanisce nella figura dell'anziano ladro che nasconde il suo ultimo furto tra i cuscini della sedia a rotelle. Ma muore, e questo è quello che importa.

Prima di tornare al mio romanzo, apro il frigorifero e palpo il freddo della bottiglia. Poi dispongo i calici con i nomi dei miei amici che non ci sono, dei miei fratelli che difesero La Moneda, di quelli che passarono nei labirinti dell'orrore e non parlarono, di quelli che crebbero nell'esilio, di quelli che fecero tutte le battaglie fino a sconfiggere il miserabile che ha gettato un'ombra sulla nostra vita per sedici anni ma non ci ha tolto la luce dei nostri diritti. Con tutti loro brinderò con gioia alla morte del tiranno.
(traduzione di Luis E. Moriones)

(4 dicembre 2006)

Comments:
spero che un giorno muoiano tutte le dittature...ancor prima dei
rispettivi dittatori.
Qualcosa dovrà accadere prima o poi, non si può continuare a opprimere
e affamare per sempre.

un saluto, Aldo

p.s..non sono riuscito a loggarmi
 
non mi fa proprio loggare..neanche a cannonate.

Aldo
 
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